giovedì 18 novembre 2010

Per amore, solo per amore.


L'Arte, in ogni suo aspetto, è una forma di umanismo. Una forma responsabile di esistenza, un modo di vivere con coscienza senza lasciare passare gli istanti in attesa della morte. Si parla di "arte di arrangiarsi", ed è quella tipicamente italiana di tirare avanti senza troppo pretendere; si parla di "arte di amare", "arte di ascoltare", "arte di cucinare", e via di seguito. Ma l'Arte, in senso stretto, è un prodotto umano che mira a esprimere un'idea, un concetto, o soltanto un'emozione, attraverso mezzi diversi, che possono prevedere una tela, un blocco di pietra, uno spartito, una pellicola, e molti altri strumenti adatti a raggiungere lo scopo. Un artista senza scopo ha poco da dire, e ciò che lascia dura un soffio di vento. C'è poi chi scrive, e quanto intende esprimere risulta spesso molto più chiaro di una tela o di un'installazione. Perché le parole hanno la trasparenza e l'evidenza dei segni, e orchestrate insieme compiono una sorta di miracolo: costruiscono un assemblaggio che proietta la visione del mondo di chi l'ha prodotta.

Per amore della civiltà, si produce cultura. Naturalmente l'artista non ama il suo prossimo indistintamente: è innamorato di una certa idea del mondo, di come vorrebbe che fosse, un mondo giusto, dove i desideri trovino sfogo nella creazione, e dove le frustrazioni vengano riassorbite senza trasformarsi in mostri. Non esiste un'Arte che mente: l'artista è sempre sincero, nella misura in cui esprime con limpidezza il chiarore che serba dentro. Lo scrittore che inventa storie non dice il falso: crea soltanto un intreccio più o meno credibile per mezzo del proprio vissuto. Non possiamo scrivere un libro o dipingere un quadro, se la nostra vita scorre sterilmente fra quattro mura. Bisogna ampliare i nostri orizzonti, conoscere l'altro, guardarlo negli occhi, affrontarlo.

L'atto creativo è la più somma esperienza di libertà che possa essere esperita dall'essere umano. Non esiste l'Arte di Destra e l'Arte di Sinistra; si può invece parlare di un certo orientamento politico e/o ideologico. Ma l'Arte non potrà mai essere ridotta a un mero oggetto che conferisce potere. L'Arte è la più povera delle espressioni, perché non basa la sua sostanza sull'economia, ma apporta ricchezza al Paese; l'Arte è la più ricca delle espressioni, perché in potenza racchiude uno scrigno di sapere a cui pochi possono accedere, ma una volta entrati in questo stupendo giardino, si può volare, scivolare giù nello strapiombo, morire e poi rinascere, perché l'Arte è in fondo salvezza e benessere.

L'atto creativo è un atto di fede: l'opera, nel momento stesso in cui viene alla luce, si sostiene nella sua altezza grazie alla forza di chi la sta traendo dalle tenebre dell'inesistenza. Ogni opera esiste in potenza, e se chi la sta creando smette di crederci, l'opera si affloscerà in qualcosa d'inefficace e inadeguato, privata del suo senso.

Sotto questo aspetto si può affermare che il momento creativo è l'esatto contrario dell'operazione chirurgica, vale a dire del gesto sempre uguale ripetuto migliaia di volte e manovrato con la freddezza di un bisturi. Gl'istanti della creazione sono la somma infinita dell'esperire individuale sempre in evoluzione, vissuto a sua volta poggiato sulla friuzione delle opere degli altri: non c'è cultura se non leggo libri, se non vado a teatro o alle mostre o ai concerti, cioè se non mi rendo partecipe di quanto è stato prodotto dagli altri.

sabato 13 novembre 2010

Le parole sono pietre.


Non amo parlare di politica, perché nel momento stesso in cui se ne parla si rischia di cadere nell'errore della propaganda. Ma esistono momenti storici in cui è inevitabile sottrarsi, e forse è inevitabile cadere nell'errore della propaganda. Citando la leader democratica birmana Aung San Suu Kyi, c'è un tempo per tacere e uno per parlare. Quando se ne sente un bisogno impellente, siamo già in una fase avanzata di attacco alla democrazia. E' come un dente che comincia a dolere, sotto al quale da tempo ha iniziato a lavorare la carie.

Tutti noi in questi giorni abbiamo sentito parlare (a ragione e a sproposito) del programma di Fazio, in cui Saviano ha avuto il coraggio di affermare ciò che sembrava essere stato dimenticato o diluito dall'assuefazione della gente. Ecco il primo sintomo della democrazia malata: assuefazione. Abituarsi a tacere, accettare di essere puniti o criticati per atti in realtà moralmente corretti, sorridere di fronte alle volgarità e ai biechi interessi del governo imperante, fingere di stare bene in un Paese in cui si sta soffocando a suon di bigottismi e - per contro - seni e fondoschiena mandati in onda a tutte le ore, questo è già un sintomo dell'assuefazione.

Leggo stamane un articolo di Aldo Grasso, pubblicato in seconda pagina sul Corriere:

Il ceto medio riflessivo ha il suo nuovo Michele Santoro. Si chiama Fabio Fazio. L'incipit suona chiaro: la gente che riflette non ha il diritto di riflettere, ma solo lasciarsi riempire gli occhi da seni abbondanti e sederi imbarazzanti, riempirsi il cervello di barzellette sbrodolate, camminare col mento rivolto a terra. Se di tanto in tanto il ceto medio avverte il bisogno di riflettere, non è capace di farlo autonomamente, ha bisogno di una guida spirituale, in questo caso Fazio/Santoro.

Fazio e Santoro sono due grandi professionisti del giornalismo, al contrario dei tanti Minzolini, Fede e sostituti mediatici del Presidente del Consiglio. Fazio e Santoro sanno darci un pasto digeribile e assimilabile, come Corradino Mineo che è stato oscurato da maggio e sostituito dall'imperdibile Buongiorno regione, ma che continua a lottare per chi riceve il segnale dal digitale terrestre. Il resto dei tg, eccetto quello di Mentana su La7 e quello di Rai3, sono solo insopportabili polpettoni domenicali che vanno su e giù nello stomaco, che tutti apprezzano ma nessuno è capace di digerire. Quante notizie siamo in grado di discutere, quanto apprendiamo, guardando il Tg4 o Rai1? Quanto sappiamo muoverci nel mondo, se ci rifilano gli adorabili telefilm di Italia1 in cui non si fa altro che ridere e assuefarsi all'incoscienza? Nessuno biasima il riso. Il riso è sintomo d'intelligenza. Benigni, in Vieni via con me, ci ha fatto sganasciare dalle risate, e senza Benigni lo spettacolo sarebbe rimasto senza un cuore. Ma che Aldo Grasso concluda il suo articolo con la frase Un solo favore: risparmiateci la manfrina del programma culturale e ripensate alla promessa del nuovo che Roberto Saviano avrebbe dovuto mostrarci, suona inaccettabile. E se persino Travaglio non ha saputo cogliere il significato del suo discorso, aspettandosi qualcosa d'altro, piuttosto che parlare di magistrati coraggiosi, perché ormai tutti sanno che Falcone ha lottato per un Paese migliore, e non c'era bisogno di ribadirlo, suona strano.

Le nuvole si sono addensate, sopra l'Italia. Almeno lasciamo diradare le nubi della nostra mente, riflettiamo pure senza paura, per vedere meglio quell'orizzonte lontano che è il Nostro Futuro.

martedì 19 ottobre 2010

La discarica dove si va a morire.


Via Passanti è chiusa, bloccata da pietre e rottami. Spettrale. Di solito ci trovi le auto in coda, la sera, le pizzerie illuminate piene di gente che prende una pizza per asporto, le macellerie dove viene esposto "o per e o muss", trippa, muso e piede del maiale, colori a tinte forti come ne "la Vucciria" di Guttuso; e poi, se sei fortunato, ci trovi le "lummate" a cavallo delle strade, le illuminazioni per le feste. Stavolta no. Oggi c'è solo il vento che corre e smuove qualche cartone gettato in strada. La gente protesta. Sta costruendo barricate, come nelle Cinque Giornate di Milano del nostro Risorgimento. Non per proclamare l'indipendenza dal resto del Paese come tenta disperatamente la Lega qui da noi. Perché vuole vivere. Ne ha il diritto, come il resto degli italiani. Non chiede il lusso, non reclama la ricchezza; domanda la vita.

La discarica di Terzigno esiste da che mi ricordi. Ci andavamo nell'infanzia, più su, sulle pendici dello "sterminabil monte Vesevo", per una manciata di more. Avevo paura di perdermi, sul Vesuvio. Ci sono gli scorpioni, i cani abbandonati che girano in branchi, le pigne che cadono e ti fanno sobbalzare all'improvviso. E c'è la discarica, un territorio lunare, grigio, pieno di camion che vanno e vengono e rilasciano sostanze tossiche o concerogene, che tracimano nelle falde dell'acqua. Quella che la popolazione beve, o usa per lavarsi. No, non ci credete, non può esser vero. Eppure la gente muore. Ci sono sempre più giovani, ricoverati negli ospedali. Una di queste si chiamava Amelia. Amelia aveva quarant'anni, faceva l'architetto. Ma cos'avrà mai avuto da costruire, direte, se in Campania la speculazione edilizia sfiora le stelle? Eppure Amelia le aveva raggiunte, le stelle. Cinque giorni prima che si sposasse, le avevano diagnosticato un tumore all'intestino. Amelia è sempre stata forte, amava la vita. Si è curata, è andata avanti per sei anni fra alti e bassi. Quando l'ho incontrata, era paralizzata nel letto, intubata con il sondino, incontinente, un berrettino da baseball a coprirle la testa calva. Il marito cercava di farla sorridere, le aveva portato una giostra da parte della suocera, che non si era fatta vedere, forse soffriva, a vederla così. Aveva una pelle stupenda, liscia, luminosa. Quando glie l'ho fatto notare, mi ha sorriso. Era pienamente lucida e cosciente. Il suo sorriso bastava da solo a illuminare tutti gli infelici. Ma ad Amelia era stato riservato quel letto d'ospedale in un paese della Campania, un ospedale fatiscente, le pareti scrostate, i corridoi puzzolenti di fumo di sigaretta.

Già, direte, ma quale nesso c'è fra Amelia e l'intifada a Boscoreale?

L'Italia non sa, o non vuole sapere, che Amelia è la popolazione stessa che resta, la gente che spera e che lotta per i propri figli, che piuttosto che abbandonare la sua terra alla camorra ha deciso di restare, e farsi rispettare. Amelia non c'è più. Ma Amelia vive ancora attraverso chi si oppone alla sciagurata decisione dello Stato di mandare a morire migliaia d'innocenti.
Questa strage silenziosa deve fermarsi. L'Italia non finisce al Centro, ma si estende oltre, e comprende anche i "terroni" che hanno scelto di rimanere al Sud. I confini non vanno riscritti, vanno semplicemente ampliati i confini del cuore.


martedì 28 settembre 2010

Con l'ironia diresti
che ho il sorriso triste
piuttosto che andare a ballare.
Avresti pensato che i tuoi fiori
erano più allegri, quel giorno.
In tua memoria,
anche se non ero lì oggi,
ti ho pregato.
Chi non c'è più lo sa,
perché è ovunque
come quella mattina
che ti divertivi a muovere
le foglie degli alberi
ed eri qui e là
insieme alle nubi,
più veloce del vento.
C'insegnano a rinnegare
la morte,
a tapparla
dentro scafandri
che saranno calati
nelle profondità abissali
dell'oblio.
Ma noi sappiamo
che gl'insegnanti di scienze
a volte mentono,
e che il cielo
si congiunge con il mare
insieme agli angeli
che ci stanno a guardare.

martedì 21 settembre 2010

Quello che non sapevo.


"Quando ti sposi?", hai chiesto.

Sentivo di tradire i tuoi progetti:

avrei potuto dirti "domani", darti

una chance,

farti venire

piuttosto che escluderti

come tu hai fatto

per sempre.

Le mie mani di bimba

nei tuoi capelli

quando mi portavi sulle spalle.

Le tue mani

ora magre, deboli,

spaventate e tristi

in un letto d'ospedale.

Un pezzo di noi

muore

quando la nostra infanzia

se la porta via il vento.

Un pezzo di storia,

la Nostra Storia,

diventa una foto sfocata,

sbiadita insieme alle parole

che ci tornano alla mente

come cantilene.

E la memoria si lascia

invadere dall'acqua

come un bosco

dopo l'alluvione.

domenica 19 settembre 2010

Riverbero.

Ogni giorno fra i tuoi capelli
il riverbero delle cose
come il sole che posa
sulle ragnatele.
Voglio dormire accoccolato
sulla spalla di una nuvola
mentre la luce
si scinde in arcobaleno
sopra la campagna.
Poter dormire
e svegliarsi in un fiore;
dalla tua ombrosa corolla
guardare il cielo.

venerdì 25 giugno 2010

Tutto quel che lascio.



Tutto quel che lascio

lo ritrovo

in riva al mare

portato dalle onde.

I ricordi restano spiaggiati

nella sabbia

come tronchi disseccati.


mercoledì 16 giugno 2010

Quando il bambino.



Quando il gabbiano

distende le ali

e scopre il cielo


il vento lo porta lontano

nella furia dei temporali

fra le stelle incastonate

sullo stelo dell'universo.



Quando il bimbo

viene alla luce

come una rondine

che lascia il suo nido


divora la vita vorace

attraversa la città sublime

con un grido

aspro e dolce

insieme.



La donna cieca.



Ogni città sull'oceano

ha la luna troppo grande

e le nuvole che corrono veloci,

stralci di lenzuola

sbattute dal vento

come angeli decaduti.


Ogni città sull'oceano

s'immagina paesi lontani

nasconde
nei suoi scantinati

storie dimenticate.


Porto

rovescia allegramente

le sue baracche variopinte

in una sinfonia multicolore.


Come la donna

senza occhi

che suonava fra la folla

distratta o affaccendata,

senz'altro domandare

che un'umile moneta.



giovedì 10 giugno 2010

Titano.


La musica

è senza parole.

Le sue parole, inesprimibili,

sono tutto e niente,

sabbia che scorre

fra le mani

nella clessidra senza tempo.


Quando mi batto

contro i mulini a vento

come Don Chisciotte

sono un canarino

che grida tutto il suo amore

al cielo

e resta inascoltato.


La sinfonia

che mi rappresenta

in sordina, mentre

piango o rido

o dormo

o fingo di non essere

e mi libro nell'aria

come farfalla

senza peso

è il Titano di Mahler,

quella forza che in fondo

è triste e insieme rabbiosa,

insistente o petulante,

folle o razionale e tagliente,

il rumore delle stelle

arse dal loro splendore

che disincantate

stanno a guardare.

martedì 8 giugno 2010

Il giardino segreto.




Dietro il velo

degli eventi

Dietro il volto

delle cose

Dietro le nubi

trascinate dal vento

Dietro lo specchio

che riflette ogni volto

Dietro la porta

che racchiude i sogni

Dietro la disperazione

della malattia incurabile

Dietro l'Aldilà

nella nuda terra

Dietro l'universo

in continua espansione



la Materia informe

dei nostri pensieri,

la rosa della sapienza

nel giardino segreto.