martedì 3 maggio 2011

And justice for All.









Gli americani scendono nelle strade, salutano la notizia con orgoglio, gridano gioiosi. La scena ricorda i festeggiamenti del 2001 in Afghanistan: i bambini lanciavano caramelle, gli adulti esultavano. La democrazia ha vinto, ha sostenuto Barack Obama nel suo discorso. Come? Spargendo altro sangue, mostrando prima una foto di Bin Laden ucciso da due colpi di proiettile, il volto martoriato presumibilmente da una furia omicida che due soli proiettili non avrebbero reso tale; ritrattando poi la versione e sostenendo che l'immagine è un fotomontaggio; infine seppellendolo frettolosamente in mare perché il suo corpo scomodo viene rifiutato da tutti, e rimarrà invisibile da vivo e da morto (C. Mineo).
Giustizia è fatta, ha concluso Obama, il cui indice di gradimento sarà certamente migliorato. L'umanità ha sete di vendetta. L'America aveva bisogno di dimostrare a se stessa e al mondo intero di essere una Nazione forte, unita, che si batte per la giustizia. L'America doveva placare il senso di vergogna, di disfatta dei suoi figli, riscattare l'insoddisfazione delle coscienze americane. Il mandato di cattura verso Bin Laden, emesso nel 2001, ha trovato la sua trionfante conclusione nell'uccisione del terrorista, e persino nella negazione di una sua sepoltura terrestre: come se si fosse trattato di un mostro marino da relegare negli abissi, finalmente ricollocato agli Inferi.

Ma davvero il mondo è più sicuro, davvero il trionfo americano corrisponde a una vittoria della democrazia? Al contrario, come afferma lo scrittore pachistano Erfan Rashid, si dovrà assistere a un'evoluzione pericolosa del terrorismo jihadista, con prevedibili attacchi all'Europa, agli USA e a tutti i simboli dell'Occidente - presumibilmente lo stesso Vaticano è in serio pericolo.



Negli USA vige ancora la pena di morte, e la sensibilità italiana è in netta contrapposizione a quella statunitense: il cardinale Bagnasco ha pregato per l'anima di Bin Laden. Tuttavia, appare un controsenso scindere l'innegabile intento terroristico del capo di Al Quaeda dall'essenza della sua anima: per questo motivo Barack Obama ha creduto di annientare o indebolire il terrorismo colpendone la mente responsabile del crollo delle Twin Towers.

Gli USA non sembrano però considerare che il terrorismo è un'azione diffusa ad opera di più menti dissolute. D'altra parte agli occhi di molti musulmani la stessa operazione compiuta in Pakistan equivale a un'azione terroristica. Dunque lo scontro fra islamici e cristiani è una sconfitta in partenza, uno scontro immutato fra civiltà.
Al di là dell'utopia pacifista, in nessun caso il sangue versato può aprire a una speranza di miglioramento per il mondo. L'umanità ha il compito di aprirsi una strada verso il futuro per mezzo del dialogo e attraverso la parola, piuttosto che sferrando colpi di machete all'intricato groviglio della foresta in cui inutilmente si dibatte. Affinché la specie umana non rappresenti un frutto casuale dell'evoluzione ma accresca le sue forze e faccia confluire quest'energia nel benessere comune. Per non stravolgere il mondo, ma renderlo un luogo in cui violenza e sopraffazione siano solo un incubo lontano.