giovedì 26 marzo 2009

Oltre lo specchio.




Attraverso la fenditura del silenzio scivola il fascio luminoso delle parole. Spina dolce che ferisce la carne e la fa sanguinare di lacrime, sei un pensiero dominante, che ha quasi vita propria come il quadro una volta dipinto: tu sei là, dietro lo specchio della mia mente; se allungo la mano per toccarti sfioro soltanto la superficie fredda che mi rinvia la tua immagine sovrapposta alla mia.

I miei occhi, scopro, sono diversi dal solito: più luminosi, più intensi, quasi umidi, pieni d'amore. E non posso neanche più nasconderlo: è come se gridassero ciò che non posso esprimere nel reale, come se un assurdo incantesimo mi avesse tolto la voce, e potessi solo cantare attraversi i versi questo amore profondo come il mare.

E' nei versi, che scendo libera in mare e ti respiro, senza bisogno d'indossare maschere o vestiti: sono me stessa, le mie mani tornano bianche, posso raggiungere la prateria di cimodocea e abbracciarti come l'Hippocampus resta attonito arrotolato al suo stelo. Soffio nelle canne d'organo delle spugne e questi versi prendono forma nell'azzurro:



Ebbra di te

quanto l'aria

dell'odoroso giacinto

cammino

con la lentezza gravida

di chi in grembo nasconde

l'amore.

Avvolgimi

nei tuoi petali azzurri

perché sopporti il freddo,

riposami

in cuore.



domenica 22 marzo 2009

I just can't find a place to be near you.




I'm never gonna cry again
I'm never gonna die again
I shed some tears for you
I shed more tears for you than the ocean


I didn't wanna let you know
I didn't wanna take your time
I didn't wanna bring you down
I didn't want to hang around you


So we're living in desperate times
Oh such an unfortunate time
I can't relate to you
I just can't find a place to be near you


Il video cui rimanda il link iniziale è già stato pubblicato sul sito di Facebook, ma ho ritenuto di ampliare la riflessione sul Blog.
L'amore non si racconta, si esperisce. Raccontarlo lo cristallizza, lo rende immobile in una sfera di vetro. Eppure le immagini e la musica del video narrano di un amore impossibile, estenuante, doloroso, forse proprio per il suo carattere ineluttabile, tanto più forte e inebriante.
Le immagini si aprono s'una conchiglia bagnata dalla risacca sulla spiaggia, la stessa che verrà suonata ripetutamente da uno dei tre uomini durante la storia e a conclusione, quando la donna ritorna al mare. Si delineano già i profili dei protagonisti: gli uomini si trovano sulla sabbia, attendono ad azioni assurde pur nella stabilità della terraferma; la donna emerge dal mare, in balìa delle onde.
La macchina da presa scivola via, si allontana verso il mare come se fosse un gabbiano, ma si tratta dell'inquadratura di un ubriaco che per un istante sembra capovolgere il mare, fino a raddrizzarsi sul pelo dell'acqua dove si sta raccogliendo un'ombra rossa...Dal mare emerge la figura di una donna, affiora in superficie: l'amore l'ha avvolta e sommersa letteralmente, nella misura in cui il desiderio è dolore (Schopenhauer) che penetra l'anima e la fa tremare.

Così risuonano i miei versi, essendo quella stessa donna:


Trafitta dalla tua lama

come una farfalla dallo spillo

cado esangue

sul fondo del mare.

Il mio corpo riposa

sulla vellutata sabbia

della tua pelle.


La donna (Annie Lennox) incrocia le braccia sul petto: il fondo del mare su cui stava adagiata è una silenziosa e muta urna d'acqua, la stessa descritta nei versi di Ungaretti:

'Stamani mi sono disteso/in un'urna d'acqua/e come una reliquia/ho riposato'. Per il medesimo motivo, l'amore rappresenta nascita e morte, il ciclo della vita che ritorna a ondate, onde di un orgasmo mai consumato nel reale.
E' solo nel raggiungere la riva che ha inizio il brano, in cui "piangere" è quasi sinonimo di "morire", mentre le lacrime sono l'oceano stesso.
Ma è davvero la terraferma, quella a cui approda la donna per poco strappata al suo silenzio d'acqua? Dalla sabbia affiora uno strano individuo che prende a scrivere le parole dell'innamorata, vale a dire il testo stesso della canzone. Una sorta di fool shakespeariano che le saltella goffamente accanto e intinge la penna da un altro losco individuo accovacciato sulla sabbia. Un uomo dalle sembianze di un sovrano senza regno prende a suonare il flauto traverso, il suo trono è collocato nell'acqua che freme ovunque, persino sulle sue scarpe.
Infine il sovrano conduce la donna a una tavola, dove i tre uomini persistono nelle loro assurde azioni, bruciano un giornale, sorseggiano serenamente da una tazza, indifferenti alla donna che canta il suo dolore e d'un tratto getta via il piatto che le è stato offerto, consapevole che viviamo in un tempo indefinito in cui non ci si può amare, un tempo in cui l'amore non trova luogo per accrescersi e maturare, ma si può solo sognare.
Il suo velo nero si trasforma in gabbiano per volare al di là dell'oceano, verso un orizzonte di speranza, un luogo in cui poter stare accanto all'amato. Un viaggio che conduca attraverso il labirinto di se stessi per trovare un'apertura sulla felicità pur sognando ancora, perché <la più bella storia d'amore non è forse quella impossibile a viversi, quella più pura e intangibile, nutrita di sogni?> (cit. Mario Levi, "La nostra più bella storia d'amore").


lunedì 9 marzo 2009

Discorso per "Lo sguardo imperturbabile" (Mostra dell'8 marzo 2009).


(Per la sezione delle tele a olio):

Dedico

a colui che posso amare

solo quando siamo lontani

questa magia,

tanto breve quanto eterna.


La vita è un libro bianco che la donna tenta faticosamente di riempire con immagini felici, trasformando i giorni pesanti in allegria e forza d’animo, carezze mancate e violenze sommesse in colori accesi densi di significato. Pagine di un coraggioso libro talvolta strappate impietosamente da uomini senza scrupoli, carnefici, spesso mariti o fidanzati.
Nella società attuale, la dolcezza di una donna, il suo amore, la sua piena dedizione per l’uomo che ama, per la famiglia, per il proprio lavoro, sono svilite e prosciugate dalla violenza fisica o psicologica, dall’ipocrisia, dall’isolamento in cui è costretta a vivere reclusa. Costantemente accusata, schernita, processata, la donna è sola fra le mura domestiche convinta di dover nascondere la propria vergogna: sono poche le donne che denunciano la propria sofferenza, e lo stato le tutela solo marginalmente.
Si chiamava Aassiya Zubair Hassan, madre di due bambini, e aveva appena chiesto il divorzio. E’ stata brutalmente uccisa dal marito e ritrovata senza vita nella sede della televisione che avevano fondato assieme.
Poi c’è Paween, attrice afgana oggi costretta ad indossare il burqua per nascondersi ai talebani, che per vietarle di recitare in quanto donna hanno ucciso il marito che la lasciava recitare: “Ho ucciso mio marito con il mio lavoro”, ripete con il volto scuro di dolore.
C’è la bellissima Rihanna, picchiata dal suo fidanzato, con il quale ha scelto di tornare.
C’è l’attrice Marie Trintignant, scomparsa a 41 anni per mano del suo compagno Bertrand Cantat, dei Noir Désir, che canta “il vento ci condurrà”.
Ci sono infinite altre donne strappate al loro stelo e lasciate sfiorire per la sola colpa d’aver accettato di sacrificarsi per l’uomo sbagliato, per quell’amore ideale a cui si erano votate e che ha tolto loro anche l’ultimo respiro.
“Ti do le mie mani, ti regalo il mio seno, sono tue le mie orecchie, ti do i miei occhi”, dice Pilar nell’atroce film “Ti do i miei occhi”. Eppure, una Fornarina con i lividi alle braccia e al volto non sarebbe meno bella, perché la bellezza di una donna la illumina dall’interno, la sua bellezza è la sua forza d’animo, e perché in fondo la donna, anche se trattata come oggetto che si offre allo sguardo senza veli, rimarrà sempre una soggettività che continuamente sfugge, che non potrà mai essere posseduta dal suo aggressore.
Se la scrittura, la pittura, l’arte in generale consentono all’animo di spezzare le catene che la società impone, allora auguro a tutte le donne di essere creative anche solo nel quotidiano, per potersi librare nel cielo della serenità, al di là di ogni convenzione o conformismo e sopra ogni pregiudizio; auguro loro di non vergognarsi della propria sofferenza, ma di uscire alla luce del mondo per scrivere un altro libro, un’altra vita.