venerdì 1 aprile 2011

Lo sguardo imperturbabile.



<La vita è breve per tutti, e il problema sta nel farne qualcosa di valore>, V.V.G.


In ogni suo autoritratto Van Gogh esprime disperazione, rabbia, sgomento. Uno sguardo impassibile, impietoso con se stesso e l'intero genere umano. Ma ce n'è uno che si discosta dagli altri. E' uno sguardo che parla sommesso, con dolcezza, quasi avesse compassione dell'umanità che lo spinse al suicidio. E' l'unico che riesca a guardare e a conservare nella mia libreria. L'unico senza il quale poter stare nei momenti tristi. Uno sguardo buono, che non giudica con severità, ma ascolta partecipando dei nostri moti d'animo. I suoi occhi sapienti sanno le nostre sventure, e sanno che in proporzione alla propria disperazione esiste solo la freddezza glaciale delle stelle che hanno gridato nei suoi quadri alle pareti della casa del fratello Theo. Perché il suo sguardo va oltre l'esistenza terrena. Van Gogh non svanì nel misero letto di una locanda. Semplicemente amplificò il proprio sentire trasferendosi al di là del mondo, tramandando la propria essenza in quello sguardo che raggiunge tutti ovunque, assordando piacevolmente la gente comune da copertine, tazze, persino copridivani e lenzuola.

Come scelse di andarsene? Nella maniera più geniale possibile, se è concesso parlare di genio nello scegliere il momento d'interrompere la propria esistenza carnale. Cito Giordano Bruno Guerri: Molti credono, romanticamente, che V.G. si sia ammazzato proprio lì (dove dipinse il "Campo di grano con volo di corvi") . Invece V.G. scelse la buca del letame. La buca del letame, pensate. Non c'è posto più assurdamente logico, per un uomo che considera così poco la propria vita da volersene liberare. Poi si tirò su, perché la ferita all'addome non era grave, e oggi lo avrebbero salvato. Si trascinò fino alla locanda, zoppicando. Era considerato un povero pazzo, uno sbandato, e la sua morte si guadagna qualche riga di cronaca nera. Il sacerdote non volle concedere il carro per trasportare la salma al cimitero, ma il fratello Theo ne ottenne la sepoltura in terra consacrata, a Auvers. Auvers, a pronunciarlo, sembra il mormorio del vento in mezzo ai campi. Un fruscio che fa ondeggiare il grano in una pennellata di oro, sotto l'azzurro fresco di un'estate in realtà torrida. Un ospite della locanda, dice di V.G.: Quando Vincent morì fu terribile, più terribile ancora di quando era vivo. Dalla bara, che era fatta male, usciva un liquido fetido. Tutto era terribile, in lui. Credo che abbia sofferto molto, su questa terra. Non l'ho mai visto sorridere.

Van Gogh detestava Raffaello. Il suo tratto geniale non sopportave la perfezione del pittore italiano. L'arte di Raffaello traeva ispirazione dall'amore per le belle cortigiane, i discorsi colti e raffinati, la luce preziosa. A Van Gogh invece interessava la gente povera, la nuda terra, il colore forte delle cose, la loro violenza, il loro irrompere nell'esistenza. I suoi soggetti raffigurano contadini, mangiatori di patate, campi arati, ulivi torturati dal vento e dalle intemperie. E la donna che voleva sposare, dopo le innumerevoli delusioni amorose, era una prostituta incinta che a sua volta, vent'anni dopo, scelse di gettarsi nelle gelide acque di un fiume.

C'è un baratro, fra Van Gogh e Raffaello, ma non trovo altro titolo degno di accomunare lo sguardo della "Fornarina" e questo dell'autoritratto al Kroller-Mueller Museum.

C'è qualcosa di strisciante che li unifica in un abbraccio inconsapevole: è la Pietas, un sentimento simile alla devozione o alla misericordia, ma che definirei più un incanto. In entrambe le tele si sta osservando uno sguardo incantato di fronte all'universo, uno spirito che trascende il presente e si estende nell'infinito. E di riflesso quest'incanto si rivolge a noi che osserviamo, e ne veniamo travolti, e per gl'istanti che ne abbiamo percezione, ci libriamo assieme a questi due giganti nel flusso eterno delle cose, come trascinati dalla marea s'una spiaggia collocata in una recondita parte della nostra mente. E per un attimo coincidono gli animi opposti dei due pittori, l'uno sereno e riflessivo, l'altro impulsivo e isterico: Ordine e Caos, passato e presente, perché ciò ch'è stato possiamo collocarlo in sequenza, ma ciò che avviene è un flusso costante di eventi che vengono ordinati solo attraverso il ricordo, vale a dire solo dopo che l'evento si è depositato sul fondo di noi stessi.

Raffaello ha la pennellata perfetta, miracolosa, quasi elaborata al microscopio. Van Gogh ha una pennellata energica, nervosa, sussultata. Due modi opposti di parlare, chi in maniera sommessa, appena sussurrata, chi urlando a squarciagola la propria desolazione e il proprio male di vivere. Ma in entrambi si esprime la stessa luce, la medesima integrità d'animo, la stessa poesia, la stessa libertà e comunione con l'universo che ciascuno, a modo suo, si porta dentro.

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