martedì 19 maggio 2009

La morale dell'incoerenza.



Quale azione è giusta, quale sbagliata? Un fiore, per estensione, è coerente nella sua forma. Un fiore è simmetrico, i suoi petali ricorrono in un corretto ordine, il suo essere-fiore consiste nella sua compattezza strutturale, nella sua logica organica, nel suo essere insieme di petali e foglie, rappresentati nella giusta sequenza: il fiore sta in cima allo stelo, le radici stanno alla base saldamente ancorate alla terra, i petali sono racchiusi e uniti a formare la corolla in una simmetria raggiata.
Ma un fiore non ha coscienza della propria struttura, un fiore sboccia e appassisce assolvendo alla sua funzione vessillare d'attrarre gl'insetti impollinatori.
Dunque un'azione, per essere considerata morale o immorale, deve essere compiuta da un organismo pensante, dotato di coscienza, qualità pertinente all'essere umano.
L'essere umano si definisce "cosciente" quando è in grado di compiere azioni coerenti con il proprio pensiero. Mentre definiamo "incosciente" una persona che agisce senza essere in grado di stabilire una correlazione fra il proprio pensiero e l'azione che ne deve scaturire. La persona, per esempio, pensa di compiere un avanzamento nel suo percorso (sentimentale, lavorativo, culturale, etc.), mentre a tutti gli effetti sta retrocedendo o compiendo oscillazioni nella traiettoria, indirezioni di senso.
Dal momento che la coerenza, come si è visto, è nella natura stessa delle cose, è desiderabile e auspicabile correggere il proprio cammino distorto per raggiungere una meta.
Perché ogni nascita comporta un cammino, e ogni vita rappresenta un sentiero diverso, più o meno intersecato a quello degli altri per formare il cosiddetto "tessuto sociale".
Una rosa non potrebbe essere rosa, se il suo bocciolo fosse fra le radici, e le sue foglie costituissero i petali. Un uomo non è uomo se manca di coerenza con i propri sentimenti, se tenta di soffocarli o annegarli in un lago di certezza apparente. Io non sono me stessa, se sorrido agli altri e piango nel mio cuore: non faccio altro che nascondermi dietro l'apparenza, rendendo ancora più evidente la frattura che mi rappresenta. Io divento l'immagine che lo specchio mi riflette, annullando l'altra me stessa che realmente sono. Quando bacio, sono coerente: bacio perché amo, amo e quindi bacio. L'incoerenza sta, all'opposto, nel reprimere un bacio e convincermi che il tempo rappresenti l'evidenza delle cose: io sto con X da Y anni, dunque la/lo amo, senza pormi la domanda: "Se sto con X da Y anni, perché bacio un'altra/un altro?".
L'altra/altro rappresenta la metà di noi stessi da cui abbiamo accettato di restare separati, nella convinzione che la nostra immagine sia davvero quella che lo specchio ci rimanda, il suo sorriso falso, la sua sicurezza, la sua menzogna.
L'essere umano, per gran parte della sua vita, non è in grado di controllare le proprie azioni né tanto meno di farle coincidere con le proprie emozioni. L'essere umano, per definizione, è incoerente, nella misura in cui potrebbe agire con coerenza, in quanto essere pensante, ma preferisce abdicare a se stesso per immaturità o ripiegamento nel mondo. Il mondo lo attira, lo attrae, come gli insetti dai petali e dal profumo del fiore, ma il timore di restarne invischiata trattiene la coscienza, che in questa maniera evita di esporsi e accetta di restare all'oscuro nella caverna, come nel mito raccontanto da Platone. La coscienza non è altro che questa fuga verso la luce all'esterno della caverna, che ci consente di vedere nitidamente la realtà che ci circonda; mentre l'incoscienza è l'attitudine a restare prigioniero delle tenebre (e dunque nell'oblio della sapienza), quel punto cieco sul fondo dell'occhio che il nostro cervello tende a colmare con la percezione dell'insieme.
In conclusione, il conseguimento della verità è dettato da noi stessi che la custodiamo in potenza e siamo in grado di scegliere fra una morale (una coerenza di idee e sentimenti che non possiamo trascendere né rinnegare) e un'immorale, vale a dire la pigrizia della vista corta, il convincimento che la vecchia strada (e dunque l'oscurità rassicurante della caverna tanto simile al grembo materno) sia sempre quella migliore, anche se un giorno potremmo trovarci di fronte a un muro per scoprire che la strada finora percorsa non era lineare, ma apparteneva a un labirinto. E accorgerci con delusione che la vita reale stava fuori, alla luce del sole.

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