I'm never gonna cry again
I'm never gonna die again
I'm never gonna die again
I shed some tears for you
I shed more tears for you than the ocean
I didn't wanna let you know
I didn't wanna take your time
I didn't wanna bring you down
I didn't want to hang around you
So we're living in desperate times
Oh such an unfortunate time
I can't relate to you
I just can't find a place to be near you
Il video cui rimanda il link iniziale è già stato pubblicato sul sito di Facebook, ma ho ritenuto di ampliare la riflessione sul Blog.
L'amore non si racconta, si esperisce. Raccontarlo lo cristallizza, lo rende immobile in una sfera di vetro. Eppure le immagini e la musica del video narrano di un amore impossibile, estenuante, doloroso, forse proprio per il suo carattere ineluttabile, tanto più forte e inebriante.
Le immagini si aprono s'una conchiglia bagnata dalla risacca sulla spiaggia, la stessa che verrà suonata ripetutamente da uno dei tre uomini durante la storia e a conclusione, quando la donna ritorna al mare. Si delineano già i profili dei protagonisti: gli uomini si trovano sulla sabbia, attendono ad azioni assurde pur nella stabilità della terraferma; la donna emerge dal mare, in balìa delle onde.
Le immagini si aprono s'una conchiglia bagnata dalla risacca sulla spiaggia, la stessa che verrà suonata ripetutamente da uno dei tre uomini durante la storia e a conclusione, quando la donna ritorna al mare. Si delineano già i profili dei protagonisti: gli uomini si trovano sulla sabbia, attendono ad azioni assurde pur nella stabilità della terraferma; la donna emerge dal mare, in balìa delle onde.
La macchina da presa scivola via, si allontana verso il mare come se fosse un gabbiano, ma si tratta dell'inquadratura di un ubriaco che per un istante sembra capovolgere il mare, fino a raddrizzarsi sul pelo dell'acqua dove si sta raccogliendo un'ombra rossa...Dal mare emerge la figura di una donna, affiora in superficie: l'amore l'ha avvolta e sommersa letteralmente, nella misura in cui il desiderio è dolore (Schopenhauer) che penetra l'anima e la fa tremare.
Così risuonano i miei versi, essendo quella stessa donna:
Trafitta dalla tua lama
come una farfalla dallo spillo
cado esangue
sul fondo del mare.
Il mio corpo riposa
sulla vellutata sabbia
della tua pelle.
La donna (Annie Lennox) incrocia le braccia sul petto: il fondo del mare su cui stava adagiata è una silenziosa e muta urna d'acqua, la stessa descritta nei versi di Ungaretti:
'Stamani mi sono disteso/in un'urna d'acqua/e come una reliquia/ho riposato'. Per il medesimo motivo, l'amore rappresenta nascita e morte, il ciclo della vita che ritorna a ondate, onde di un orgasmo mai consumato nel reale.
E' solo nel raggiungere la riva che ha inizio il brano, in cui "piangere" è quasi sinonimo di "morire", mentre le lacrime sono l'oceano stesso.
Ma è davvero la terraferma, quella a cui approda la donna per poco strappata al suo silenzio d'acqua? Dalla sabbia affiora uno strano individuo che prende a scrivere le parole dell'innamorata, vale a dire il testo stesso della canzone. Una sorta di fool shakespeariano che le saltella goffamente accanto e intinge la penna da un altro losco individuo accovacciato sulla sabbia. Un uomo dalle sembianze di un sovrano senza regno prende a suonare il flauto traverso, il suo trono è collocato nell'acqua che freme ovunque, persino sulle sue scarpe.
Infine il sovrano conduce la donna a una tavola, dove i tre uomini persistono nelle loro assurde azioni, bruciano un giornale, sorseggiano serenamente da una tazza, indifferenti alla donna che canta il suo dolore e d'un tratto getta via il piatto che le è stato offerto, consapevole che viviamo in un tempo indefinito in cui non ci si può amare, un tempo in cui l'amore non trova luogo per accrescersi e maturare, ma si può solo sognare.
Il suo velo nero si trasforma in gabbiano per volare al di là dell'oceano, verso un orizzonte di speranza, un luogo in cui poter stare accanto all'amato. Un viaggio che conduca attraverso il labirinto di se stessi per trovare un'apertura sulla felicità pur sognando ancora, perché <la più bella storia d'amore non è forse quella impossibile a viversi, quella più pura e intangibile, nutrita di sogni?> (cit. Mario Levi, "La nostra più bella storia d'amore").
E' solo nel raggiungere la riva che ha inizio il brano, in cui "piangere" è quasi sinonimo di "morire", mentre le lacrime sono l'oceano stesso.
Ma è davvero la terraferma, quella a cui approda la donna per poco strappata al suo silenzio d'acqua? Dalla sabbia affiora uno strano individuo che prende a scrivere le parole dell'innamorata, vale a dire il testo stesso della canzone. Una sorta di fool shakespeariano che le saltella goffamente accanto e intinge la penna da un altro losco individuo accovacciato sulla sabbia. Un uomo dalle sembianze di un sovrano senza regno prende a suonare il flauto traverso, il suo trono è collocato nell'acqua che freme ovunque, persino sulle sue scarpe.
Infine il sovrano conduce la donna a una tavola, dove i tre uomini persistono nelle loro assurde azioni, bruciano un giornale, sorseggiano serenamente da una tazza, indifferenti alla donna che canta il suo dolore e d'un tratto getta via il piatto che le è stato offerto, consapevole che viviamo in un tempo indefinito in cui non ci si può amare, un tempo in cui l'amore non trova luogo per accrescersi e maturare, ma si può solo sognare.
Il suo velo nero si trasforma in gabbiano per volare al di là dell'oceano, verso un orizzonte di speranza, un luogo in cui poter stare accanto all'amato. Un viaggio che conduca attraverso il labirinto di se stessi per trovare un'apertura sulla felicità pur sognando ancora, perché <la più bella storia d'amore non è forse quella impossibile a viversi, quella più pura e intangibile, nutrita di sogni?> (cit. Mario Levi, "La nostra più bella storia d'amore").
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