(Per la sezione delle tele a olio):
Dedico
a colui che posso amare
solo quando siamo lontani
questa magia,
tanto breve quanto eterna.
La vita è un libro bianco che la donna tenta faticosamente di riempire con immagini felici, trasformando i giorni pesanti in allegria e forza d’animo, carezze mancate e violenze sommesse in colori accesi densi di significato. Pagine di un coraggioso libro talvolta strappate impietosamente da uomini senza scrupoli, carnefici, spesso mariti o fidanzati.
Nella società attuale, la dolcezza di una donna, il suo amore, la sua piena dedizione per l’uomo che ama, per la famiglia, per il proprio lavoro, sono svilite e prosciugate dalla violenza fisica o psicologica, dall’ipocrisia, dall’isolamento in cui è costretta a vivere reclusa. Costantemente accusata, schernita, processata, la donna è sola fra le mura domestiche convinta di dover nascondere la propria vergogna: sono poche le donne che denunciano la propria sofferenza, e lo stato le tutela solo marginalmente.
Si chiamava Aassiya Zubair Hassan, madre di due bambini, e aveva appena chiesto il divorzio. E’ stata brutalmente uccisa dal marito e ritrovata senza vita nella sede della televisione che avevano fondato assieme.
Poi c’è Paween, attrice afgana oggi costretta ad indossare il burqua per nascondersi ai talebani, che per vietarle di recitare in quanto donna hanno ucciso il marito che la lasciava recitare: “Ho ucciso mio marito con il mio lavoro”, ripete con il volto scuro di dolore.
C’è la bellissima Rihanna, picchiata dal suo fidanzato, con il quale ha scelto di tornare.
C’è l’attrice Marie Trintignant, scomparsa a 41 anni per mano del suo compagno Bertrand Cantat, dei Noir Désir, che canta “il vento ci condurrà”.
Ci sono infinite altre donne strappate al loro stelo e lasciate sfiorire per la sola colpa d’aver accettato di sacrificarsi per l’uomo sbagliato, per quell’amore ideale a cui si erano votate e che ha tolto loro anche l’ultimo respiro.
“Ti do le mie mani, ti regalo il mio seno, sono tue le mie orecchie, ti do i miei occhi”, dice Pilar nell’atroce film “Ti do i miei occhi”. Eppure, una Fornarina con i lividi alle braccia e al volto non sarebbe meno bella, perché la bellezza di una donna la illumina dall’interno, la sua bellezza è la sua forza d’animo, e perché in fondo la donna, anche se trattata come oggetto che si offre allo sguardo senza veli, rimarrà sempre una soggettività che continuamente sfugge, che non potrà mai essere posseduta dal suo aggressore.
Se la scrittura, la pittura, l’arte in generale consentono all’animo di spezzare le catene che la società impone, allora auguro a tutte le donne di essere creative anche solo nel quotidiano, per potersi librare nel cielo della serenità, al di là di ogni convenzione o conformismo e sopra ogni pregiudizio; auguro loro di non vergognarsi della propria sofferenza, ma di uscire alla luce del mondo per scrivere un altro libro, un’altra vita.
Nella società attuale, la dolcezza di una donna, il suo amore, la sua piena dedizione per l’uomo che ama, per la famiglia, per il proprio lavoro, sono svilite e prosciugate dalla violenza fisica o psicologica, dall’ipocrisia, dall’isolamento in cui è costretta a vivere reclusa. Costantemente accusata, schernita, processata, la donna è sola fra le mura domestiche convinta di dover nascondere la propria vergogna: sono poche le donne che denunciano la propria sofferenza, e lo stato le tutela solo marginalmente.
Si chiamava Aassiya Zubair Hassan, madre di due bambini, e aveva appena chiesto il divorzio. E’ stata brutalmente uccisa dal marito e ritrovata senza vita nella sede della televisione che avevano fondato assieme.
Poi c’è Paween, attrice afgana oggi costretta ad indossare il burqua per nascondersi ai talebani, che per vietarle di recitare in quanto donna hanno ucciso il marito che la lasciava recitare: “Ho ucciso mio marito con il mio lavoro”, ripete con il volto scuro di dolore.
C’è la bellissima Rihanna, picchiata dal suo fidanzato, con il quale ha scelto di tornare.
C’è l’attrice Marie Trintignant, scomparsa a 41 anni per mano del suo compagno Bertrand Cantat, dei Noir Désir, che canta “il vento ci condurrà”.
Ci sono infinite altre donne strappate al loro stelo e lasciate sfiorire per la sola colpa d’aver accettato di sacrificarsi per l’uomo sbagliato, per quell’amore ideale a cui si erano votate e che ha tolto loro anche l’ultimo respiro.
“Ti do le mie mani, ti regalo il mio seno, sono tue le mie orecchie, ti do i miei occhi”, dice Pilar nell’atroce film “Ti do i miei occhi”. Eppure, una Fornarina con i lividi alle braccia e al volto non sarebbe meno bella, perché la bellezza di una donna la illumina dall’interno, la sua bellezza è la sua forza d’animo, e perché in fondo la donna, anche se trattata come oggetto che si offre allo sguardo senza veli, rimarrà sempre una soggettività che continuamente sfugge, che non potrà mai essere posseduta dal suo aggressore.
Se la scrittura, la pittura, l’arte in generale consentono all’animo di spezzare le catene che la società impone, allora auguro a tutte le donne di essere creative anche solo nel quotidiano, per potersi librare nel cielo della serenità, al di là di ogni convenzione o conformismo e sopra ogni pregiudizio; auguro loro di non vergognarsi della propria sofferenza, ma di uscire alla luce del mondo per scrivere un altro libro, un’altra vita.
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