giovedì 7 luglio 2011
martedì 5 luglio 2011
No TAV, no Cav.
martedì 21 giugno 2011
God save the King.
lunedì 20 giugno 2011
Così sia.
il tuo sogno
mercoledì 8 giugno 2011
La sposa bambina.
martedì 3 maggio 2011
And justice for All.
Gli americani scendono nelle strade, salutano la notizia con orgoglio, gridano gioiosi. La scena ricorda i festeggiamenti del 2001 in Afghanistan: i bambini lanciavano caramelle, gli adulti esultavano. La democrazia ha vinto, ha sostenuto Barack Obama nel suo discorso. Come? Spargendo altro sangue, mostrando prima una foto di Bin Laden ucciso da due colpi di proiettile, il volto martoriato presumibilmente da una furia omicida che due soli proiettili non avrebbero reso tale; ritrattando poi la versione e sostenendo che l'immagine è un fotomontaggio; infine seppellendolo frettolosamente in mare perché il suo corpo scomodo viene rifiutato da tutti, e rimarrà invisibile da vivo e da morto (C. Mineo).
Giustizia è fatta, ha concluso Obama, il cui indice di gradimento sarà certamente migliorato. L'umanità ha sete di vendetta. L'America aveva bisogno di dimostrare a se stessa e al mondo intero di essere una Nazione forte, unita, che si batte per la giustizia. L'America doveva placare il senso di vergogna, di disfatta dei suoi figli, riscattare l'insoddisfazione delle coscienze americane. Il mandato di cattura verso Bin Laden, emesso nel 2001, ha trovato la sua trionfante conclusione nell'uccisione del terrorista, e persino nella negazione di una sua sepoltura terrestre: come se si fosse trattato di un mostro marino da relegare negli abissi, finalmente ricollocato agli Inferi.
Ma davvero il mondo è più sicuro, davvero il trionfo americano corrisponde a una vittoria della democrazia? Al contrario, come afferma lo scrittore pachistano Erfan Rashid, si dovrà assistere a un'evoluzione pericolosa del terrorismo jihadista, con prevedibili attacchi all'Europa, agli USA e a tutti i simboli dell'Occidente - presumibilmente lo stesso Vaticano è in serio pericolo.
Negli USA vige ancora la pena di morte, e la sensibilità italiana è in netta contrapposizione a quella statunitense: il cardinale Bagnasco ha pregato per l'anima di Bin Laden. Tuttavia, appare un controsenso scindere l'innegabile intento terroristico del capo di Al Quaeda dall'essenza della sua anima: per questo motivo Barack Obama ha creduto di annientare o indebolire il terrorismo colpendone la mente responsabile del crollo delle Twin Towers.
Gli USA non sembrano però considerare che il terrorismo è un'azione diffusa ad opera di più menti dissolute. D'altra parte agli occhi di molti musulmani la stessa operazione compiuta in Pakistan equivale a un'azione terroristica. Dunque lo scontro fra islamici e cristiani è una sconfitta in partenza, uno scontro immutato fra civiltà.
Al di là dell'utopia pacifista, in nessun caso il sangue versato può aprire a una speranza di miglioramento per il mondo. L'umanità ha il compito di aprirsi una strada verso il futuro per mezzo del dialogo e attraverso la parola, piuttosto che sferrando colpi di machete all'intricato groviglio della foresta in cui inutilmente si dibatte. Affinché la specie umana non rappresenti un frutto casuale dell'evoluzione ma accresca le sue forze e faccia confluire quest'energia nel benessere comune. Per non stravolgere il mondo, ma renderlo un luogo in cui violenza e sopraffazione siano solo un incubo lontano.
giovedì 28 aprile 2011
E se domani.
Le interferenze, in amore, sono sempre presenti. Non c'è una relazione amorosa senza interferenza, più o meno intensa in funzione di chi ci circondiamo o siamo circondati. Circondare ha più l'accezione dell'assediare, opprimere. Scegliamo le nostre amicizie, ma molto spesso non possiamo scegliere chi la vita c'impone: per questioni di lavoro, per motivi di nascita, o per semplice casualità. L'interferenza può essere intesa come il rumore di fondo in spettrofotometria: qualcosa che si sovrappone alla purezza del componente in esame. L'amore è un'affinità di onde, un'armonia di suoni che si stagliano contro le stelle all'unisono. Quando voci esterne si sovrappongono alla sinfonia, si crea una dissonanza. L'amore diventa una poesia con versi stonati. Una poesia può essere armoniosa anche se i versi non sono in rima; ma è indispensabile che l'intreccio formato sia uniforme come le fronde dei rami in un bosco, altrimenti somiglia a un campo di grano in cui vento e pioggia hanno lasciato chiazze di piante accasciate incapaci di ondulare al vento. Così è l'amore: spesso si lascia infestare dalla zizzania, e il suo prato fiorito si abbandona senza regole al loglio. Per questo motivo il parroco del film "Casomai" chiede ai presenti di uscire: perché il matrimonio è un fatto privato, e come tale riguarda e interesserà solo chi contrae il matrimonio.
Kate e William stanno per sposarsi. Lei avrebbe firmato un documento in cui si dichiara pronta a rinunciare ai propri figli in caso di divorzio. E milioni di occhi indiscreti osserveranno gli sposi innanzi all'altare dell'Abbazia di Westminster. Posto che l'amore non prevede clausole ma una comune libertà d'idee, sentimenti, opinioni; posto che i figli non sono oggetti di proprietà, ma affetti indissolubili dalla carne di chi li ha generati; mostrare qualcosa d'infinitamente intimo e personale di fronte al mondo fa scadere la promessa eterna in una scenetta da telenovela, come il prezioso anello di fidanzamento riprodotto in migliaia di patacche in vendita come souvenir a Londra. Un matrimonio, in fondo, simboleggia l'unione durevole di due che si amano: la fede è circolare al pari dell'universo in cui il tempo si estende e ritorna, e similmente la vita ripete ciclicamente il suo corso. La celebrazione può avvenire in mille stili diversi, da quello solenne a quello agreste, ma ciascuna ha una funzione ben precisa: rendere pubblica di fronte alla società la propria unione. Ci si può sposare anche in riva al mare, con due invitati. Ma il mondo ha bisogno di saperlo. Certo William è un principe, e la sua vita è destinata a rimanere pubblica. Eppure l'amore in sordina, quello discreto fra pochi parenti e amici, risuona maggiormente nei cuori. E prevede meno fastidiose interferenze.
martedì 26 aprile 2011
Il tempo della farfalla.
C'è un tempo in un cui restare, fermarsi, soffermarsi a guardare, riflettere. E c'è un tempo per correre, decidersi, stabilire, rinunciare a soprassedere, incaponirsi, verificare, smontare e rimontare i pezzi dell'esistenza per plasmarne di nuovi. Come la farfalla, il cui minimo battito d'ali può provocare un uragano dall'altra parte del mondo. E questo è dunque il tempo della farfalla. Il tempo di agire, a cui ciascuno risponde a modo suo. E il nostro agire può mutare il corso degli eventi. Persino se scegliamo di voltare l'angolo la nostra vita può cambiare. Se una mattina anzicché camminare a passo sostenuto per recarci al lavoro decidiamo di prendercela comodamente, scopriamo il volto nuovo delle cose. E questo dovrebbe essere l'insegnamento: voltare pagina non significa necessariamente cambiare vita, tagliare con il passato, allontanarsi da se stessi e dagli altri. Al contrario, può essere utile costruire il nuovo attraverso uno sguardo diverso, non disincantato ma felicemente illuso: guardare fra le pieghe degli attimi svelando il segreto del quotidiano nel fondo dell'esistenza. Tutto sommato nessuna scelta è sbagliata, purché consenta di approfondire e chiarire l'insolvenza di fronte al passare del tempo. Ciascuno ha il suo tempo in cui portare a compimento l'esercizio del presente. Oltre quel limite c'è solo la vertigine del vuoto. C'è chi perde la vita professando una pace fino all'ultimo respiro, ed è un eroe. C'è chi spende la sua vita seduto in mezzo al deserto ricercando la sapienza dell'ascesi, ed è un santo. C'è poi chi si ubriaca, salta da un balcone credendo di finire nella piscina, e invece si fracassa a terra, e questo è un imbecille che ha gettato la sua vita in pasto ai vermi e di lui si ricorderanno gli amici come di quello sbronzo. A ciascuno la sua vita, potremmo dire. Certo chi di sé lascia traccia infonderà una terribile nostalgia negli altri quando verrà a mancare. E questo vuoto che proviamo quando qualcuno ci lascia perché il suo tempo si è esaurito, sia egli giovane o vecchio, sano o malato, sia la sua scomparsa improvvisa o annunciata, è il vuoto che con i nostri versi e le nostre parole in prosa siamo chiamati a colmare.
venerdì 15 aprile 2011
Restiamo umani.
martedì 12 aprile 2011
Invadenza: cos'è, come difendersi.
venerdì 1 aprile 2011
Lo sguardo imperturbabile.
lunedì 14 febbraio 2011
Il chiodo nel palmo della mano.
Un giorno ti dissi
"Non ferirmi,
nemmeno con una parola".
Il chiodo che porto nella mano
è il chiodo dei crocifissi.
Ieri le piazze erano gremite di donne. Donne forti, coraggiose, che non temono lo schiaffo dell'Otello che le sovrasta. Eppure quante donne, nel quotidiano, fra le mura di casa, trovano la violenza ad abbracciarle e soffocarle. La violenza, in senso lato, è un coltello che ci squarcia la gola. Un coltello vero, o per le più fortunate solo dei lividi; ma è anche il coltello della parola che ci toglie in gola la voce. Il coltello che recide un legame amoroso, il cordone ombelicale che ci unisce all'altro perché dall'altro traiamo reciproco nutrimento. La violenza non è solo fisica, ma anche verbale. Talvolta le parole fanno più male di un colpo ricevuto alle spalle, inconsciamente. Troppo spesso la donna è in bilico fra il rispetto e il disprezzo. Troppo spesso scivola nel baratro della colpa, del sentimento di vergogna per qualcosa che non ha commesso. La convivenza fuori dal matrimonio è uno di questi elementi che giustificano o autorizzano un uomo (di solito un padre, ma non necessariamente suo padre) a colpevolizzarla. Persino la Chiesa ne fa un peccato. Lei che invece dovrebbe difendere i più deboli, gl'innocenti, ne fa una disgraziata. E invece la donna è il più delicato fiore che sbocci fra l'erba, colma di rugiada all'alba e sempre fresca nell'animo anche quando è scialba e mostra un viso stanco solcato dalla fatica. La donna sa ammaliare con la sua bellezza, ma essendo di carne e non potendo restare l'angelicata fanciulla botticelliana si spacca la schiena per conciliare il suo lavoro con l'ordine della casa o della famiglia. Questo perché si è scoperto con il progredire della civiltà che il genere femminile non si manifesta solo attraverso la perfidia della mela rubata nella Genesi, e la donna non è sempre impudica e ladra, quindi già sgualdrina; con il trascolorare dei secoli la femminilità è stata associata anche alla mano accurata che ricama, intesse, dipinge, intarsia. Mente che produce o insegna un sapere, esercitando un mestiere che non è quello più vecchio del mondo, bensì quello del precettore, una volta affidato solo all'uomo. Sofonisba Anguissola a metà Cinquecento dimostrò che le sue candide mani non erano solo mani belle e curate, ma soprattutto sapienti e dignitose, in un secolo in cui la donna era fermamente ancorata soltanto alle faccende domestiche, relegata impietosamente nell'angolo dell'ignoranza. Pilar, nel film "Ti do i miei occhi", trova lavoro grazie alla sua passione per l'Arte, deprecata dal marito che invece la vorrebbe soltanto ad accudire la casa.
Fiera d'essere Donna, la donna si avvale della sua dolcezza per assicurare un futuro al mondo, perché è colei che serba il seme e lo traduce in vita che si perpetua a nuova vita. I suoi baci sono stelle che risplendono nel cielo, il suo canto è il vento che disperde lontano ciò che con tanta cura ha accudito in grembo. Le sue dita disegnano il futuro di ogni specie, umana o animale. E allora perché sfigurarne il volto e metterlo oscenamente in mostra, perché strapparle a morsi ciò di cui maggiormente può andar fiera, la sua dignità? Suona strano, tuttavia è truce verità che ancora esista uomo che afferrandola per i capelli che ne coprono l'onore svergogni questa povera Venere e come Pilar la mostri nuda di fronte al mondo, scaricandole vigliaccamente addosso proiettili di fango. Per poterla ricacciare in fondo all'Oceano da cui ha preso vita, per rinnegare quel simbolo di Bellezza e di Humanitas che vuole essere anche speranza, carità, bontà, intelligenza, ovvero qualcosa che sfugge all'uomo, o a un certo tipo di uomo, di pensiero, d'ideologia. Per mascherare le proprie nefandezze con il cerone dell'ipocrisia, scagliarsi contro un presunto femminismo imperante piuttosto che riconoscersi nei propri limiti e inettitudini.
domenica 6 febbraio 2011
Me ne vado, ti lascio nella sera.
venerdì 28 gennaio 2011
Cronaca di una morte annunciata.
L'Italia, nella sua realtà effettiva, è quel Cavaliere che sfida la morte per avere ancora del tempo da vivere. In effetti il Cavaliere è così scaltro che sta per vincerla; ma per salvare i due che si amano e distrarre il giocatore, fa cadere alcuni pezzi sulla scacchiera perdendo la partita. L'Italia potrebbe ancora riscattarsi, agli occhi del mondo. Potrebbe ancora avere una partita da giocare. Ma non ne ha l'interesse, né il tempo, pienamente indaffarata dietro alle questioni quotidiane della fatica per arrivare a fine mese: dell'altro Cavaliere, il suo Presidente del Consiglio, non può curarsi se non marginalmente, per distrarsi dalla routine, per allontanarsi un poco dai suoi guai, ignara che il suo guaio più grosso è proprio l'oggetto che gli consente di estraniarsi per poco dalle fatiche quotidiane. Se solo potesse immaginarlo, si sarebbe già attrezzata, magari proprio in senso figurato con la pala per il muratore o la tastiera del pc per l'impiegato, per mandare al diavolo il suo Cavaliere. Che di buono ha ben poco: se perderà la partita, la parderà per i suoi vizi, piuttosto che per le sue virtù (per altro inesistenti).
L'Italia ha ancora del tempo, per decidere se andare incontro al suo futuro oppure starsene sbracata ad aspettare di essere scavalcata da altri Paesi sempre più forti economicamente e culturalmente. Ma il tempo che le è destinato sta per scadere. Lo smacco più grosso sarà rendersene conto, prenderne atto a partita chiusa. I veri vinti, si sa, non saranno i parlamentari e i senatori a vita fautori della decadenza morale e del miserevole tenore di vita degli italiani. I veri vinti saranno, come tristemente accade nella realtà, i cittadini più deboli, fragili in quanto già incerti del proprio avvenire. Allora si griderà al tradimento, ma Berlusconi sarà già lontano nelle menti e gli italiani si ritroveranno molto più poveri di oggi. Eppure non è una popolazione più numerosa che fa la forza: uno Stato diventa stabile e governabile quando i cittadini sono uniti per assolvere un fine comune, vale a dire un futuro migliore per tutto il Paese. L'India e la Cina non sono forti grazie al numero maggiore dei cittadini, ma per merito dell'idealizzazione del proprio ruolo nella società che hanno saputo assemblare. Certo, la pecca degli italiani è la mancanza di volontà nel procreare e formare una famiglia, il basso tasso di natalità comunque bilanciato dalla presenza dei cittadini extracomunitari che rappresentano una sorta di "ancora di salvezza". Ma l'età media va innalzandosi sfiorando i sessant'anni. Con le relative problematiche cui far fronte: aggravio sull'assistenza sanitaria, pensioni sempre più numerose, impauperamento generale. In una parola: decadenza.
E' l'ora di darci un taglio e costruire un futuro concreto per i nostri figli. Perché una culla di frasche non protegge dalle intemperie, una casa di foglie verrà spazzata via dal vento, e l'Italia, ricchissima di opere d'arte e menti geniali vedrà sfaldare il proprio patrimonio artistico sotto una giornata di pioggia forte come è accaduto per Pompei.
mercoledì 26 gennaio 2011
Se non ora, quando?
Nella nostra piccola Italia, colpevole come la Germania di tirannie ed epurazioni, il livello di corruzione attuale, d'immoralismo, di mancanza di valori, ha oltrepassato la soglia del sopportabile.