mercoledì 21 gennaio 2009

Se questa è una bambina

Non so chi fui; perì di noi gran parte...





E' finita, Tsahal si ritira, si va a casa: ma quale casa? Mentre Obama giura solennemente davanti al popolo americano e la first lady indossa un delicato abito presidenziale "in lana svizzera e filo di seta francese per il ricamo", mentre il grande Bernard Henri-Lévy scrive dalla sua comoda poltrona in pelle: "posso sbagliarmi, ma le poche, le pochissime cose che vedo [...] indicano una città frastornata, che si trova in trappola, terrorizzata, ma certamente non una città rasa al suolo, come poterono esserlo Grozny o certi quartieri di Sarajevo", Vittorio Arrigoni scrive, dal suo coraggiosissimo Blog: "Si racconta di un anziano signore che uscito di casa per procurarsi del cibo durante una delle rare tregue mattutine, non sia stato più in grado di trovare la via del ritorno. I bombardamenti hanno modificato radicalmente la geografia di Gaza, alterandone insieme il tessuto sociale. [...] Qualora alla fine di questa massiccia offensiva genocida si effettuasse una fotografia satellitare di Gaza city, credo sarebbe arduo convincere qualcuno che si tratta della stessa città fotografata venti giorni prima ".

E' finita, i carri armati si ritirano, schiacciando e sputacchiando ogni carcassa o maceria che incontrano sul loro cammino. Come nel libro di Malaparte, "La pelle".
Nessuna casa, per i sopravvissuti di Gaza. Sfoglio le pagine di diario di Guerrilla radio, per scoprire le atrocità commesse da Tsahal, edulcorate e falsate dai media. D'un tratto mi ritrovo davanti a una foto che sulle prime non capisco. Passa qualche secondo, l'orrore mi trafigge il cervello. No, non mi sbaglio. E' la foto di una bambina, la bocca aperta come se stesse dormendo il sonno profondo dei bambini stanchi, schizzi di sangue le incrostano il viso, un occhio appare tumefatto ma tutto sommato normale. I bei capelli castani sono arruffati, mescolati alla polvere dei calcinacci. Potrebbe essere una morte dignitosa, se qualcosa di dignitoso può esserci nella morte di una bimba strappata alla sua vita dalla lurida guerra. Mi torna in mente la disgustosa frase del generale Broulard in "Orizzonti di gloria": "I suoi uomini sono morti bene". Nessuna morte è traducibile, per questo la foto ha qualcosa di osceno. Bisogna allora tacere? Scegliere di mostrare, senza parlarne, oppure tentare di tradurne le smisurate atrocità, senza mostrare?
Della bambina, non rimane più niente. E' solo una testa fra le macerie, decapitata. Resto inebetita a guardare, incapace di una qualsiasi reazione. E' come ricevere un pugno da chi ti fidi: non te l'aspetti, ti ritrovi per qualche secondo stordito, attonito.
Poi, improvviso come un tuono a ciel sereno, scoppio a piangere. Un pianto di rabbia, di costernazione, smarrimento.
Non so più chi sono. Bestia o creatura umana, fiore nella pioggia o nuda roccia, mestruo doloroso che porta vita o proiettile che trapassa, carezza o filo spinato che ferisce, asfalto di strada anonima oppure vuoto in cui precipitare risucchiata.
Non so più chi sono.
Scorporare l'essere umano, frammentarlo, levargli anche quel residuo di dignità che la morte conserva fino a dissacrarlo, vuol dire annientare un popolo, come è stato fatto con gli ebrei spogliandoli dei vestiti e sottoponendoli alle "docce" di acido cianidrico. I nipoti di quegli stessi ebrei che sorridono nello sfondare col tank la saracinesca di un negozio di alimentari per uscirne carichi di merce, oggi stanno uccidendo e violentando l'infanzia. L'utilizzo di armi al fosforo bianco comporta un massacro ben noto all'esercito, che ne è pienamente consapevole.
Non condanno il popolo israeliano: condanno il governo che, nel delicato periodo delle elezioni imminenti, ricerca consensi soprattutto fra quanti si ritrovano a vivere nella ristretta fascia intorno a Tel-Aviv, al riparo dai razzi di Hamas.
Non sono una giornalista, non sono tenuta a limitarmi al dovere di cronaca, non rischio la vita come Arrigoni, ritenuto filo-Hamas. Posso concedermi il lusso di esprimere le mie idee in una società dove le idee, anche se (o forse proprio per questo) generatrici di ottimismo e speranza, sono considerate armi da reprimere. In Italia, in questi giorni, furoreggia la polemica contro Santoro accusato di faziosità per Gaza. In Nepal, dieci giorni fa è stata uccisa la ventiquattrenne giornalista Uma Singh, che si batteva per la difesa dei diritti delle donne. Era esile, Uma, il viso sincero di bambina indifesa. Lottava per portare alla luce la verità, troppo spesso cancellata o repressa dalle dittature. Pochi giorni prima, l'8 gennaio, veniva ucciso in Sri-Lanka Lasantha Manilal Wickramatunga, direttore del quotidiano Sunday Leader, per aver aspramente criticato il governo esecutivo guidato da Rajapaksa. Cronaca di una morte annunciata, la sua, prevedendo la propria fine nel suo ultimo articolo. E il 19 gennaio, pochi giorni fa, è stata assassinata in pieno centro a Mosca Anastasia Baburova, erede della Politkovskaya.
Brindiamo alla morte della libertà di stampa. Viva la censura, abbasso le idee, a morte gli idealisti e tutti coloro che si battono per la libertà d'espressione sotto le sue infinite forme. Mettiamo al rogo i pittori insieme alle loro opere, in un "divino falò delle vanità"; mettiamo al rogo i poeti alla ricerca della Parola, al rogo gli scienziati che intendono svelare il mistero dell'universo, al rogo ogni formula, ogni sorriso, ogni mano tesa, ogni bimba che piange, ogni fiore, insetto, foglia, giocattolo, ogni essere inerme che attraverso il suo microscopico contributo o la sua semplice presenza possa in qualche modo favorire la progressione della civiltà.
Quella bambina, quel che resta della bambina, ha ancora bisogno di noi. Ha bisogno di non essere dimenticata, di vivere dentro di noi. Noi che, attraverso il cannibalismo sociale sempre più diffuso, abbiamo fagocitato la sua storia e la sua sofferenza e andiamo avanti per la nostra strada, forse un po' meno indifferenti. Inglobati a nostra volta da Internet, digeriti e masticati dai Blog, in un interminabile ruminare, riflessi in uno specchio riflettente che riproduce all'infinito altre storie.

1 commento:

  1. ciao Dna, sono nuovo di questo variegato mondo dei blog...ho un pikkolo problema che forse tu puoi risolvermi...
    Soffermai giorni fa la mia attenzione sulla foto di questo post che in maniera molto chiara ed efficace hai elaborato. A giugno esce il mio nuovo romanzo, e ti assicuro ke una foto così bella non l'avevo mai vista, mi piacerebbe pubblicarla come copertina, solo ke non riesco a trovare l'autore...mi sai aiutare?
    ...grazie mille e scusa il disturbo
    (la mia mail: eusweb@hotmail.it)

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