Non sono le parole, che salvano il mondo. Non è la pace, che ucciderà la guerra. Non è la foto di una bambina coperta dalle macerie, con un'unica mano che spunta come a invocare un impossibile aiuto, non è la sua foto comparsa su tutti i giornali, non sono i video trasmessi da Blob, sui massacri di Gaza, a salvare noi occidentali dalla placida quiete della nostra ottusa inazione. Niente, potrà giustificare il nostro silenzio-assenso, niente potrà assolverci dalla nostra inettitudine e frivolezza, nessuna lacrima versata, nessun pugno contro il muro, nessuna croce, nessun grido, nessun amore, niente e nessuno ci potrà salvare dalla nostra morte morale. Siamo morti che camminano.
In tv danno le "estrazioni del lotto". Una voce fuori campo scandisce con seria lentezza la combinazione vincente, facendo rabbrividire i giocatori.
A Milano e Torino c'è una situazione di emergenza: è finito il sale per sciogliere la neve. Il sale, quello che si trova nell'infinito mare, non c'è più. Giornalisti e popolazione lamentano la grave emergenza.
La gente, qui da noi occidentali, ha ancora il coraggio di girare in pelliccia. In fondo, il freddo è intenso. Si muovono anche loro con serietà, avanzano con lentezza, come la voce per le estrazioni del lotto. Non si sentono animali sociali. Nessuno di loro si sente un animale sociale. Vanno dal parrucchiere con una certa frequenza, snobbano i colleghi che ritengono inferiori, abitano l'agiato mondo che si sono allestiti come uccelli variopinti dentro una splendida voliera.
A Gaza City, soltanto, si muore. A Gaza nessuno ha più una casa, la gente deve correre da un quartiere all'altro per cercare un rifugio per la notte. La notte, terribile, senza luce, forse qualche stella, ma uscire significa incontrare la morte, che insegue instancabile la popolazione in trappola.
Un viaggio al temine della notte interminabile, un'interminabile sapore di sangue e carne bruciata che ti penetra nelle narici e non ti si scolla più di dosso. Sono in un vicolo cieco. Si spara anche contro le scuole dell'ONU, ritenute ricovero di armi. L'edificio esplode, il tetto crolla, i muri di cemento crollano, ti schiacciano, è un attimo: non ci sei più.
Non ci sei più. Non puoi più vedere niente, né assaporare il gusto libero dell'acqua, né accarezzare tuo figlio se sei padre, né stringere la mano della mamma se sei bambino, né ridere, né arrabbiarti, né masticare, né evacuare, né tantomeno pensare.
Non sei più, soltanto. Non sai che da noi occidentali, un certo tipo di gente, gira in pelliccia, e snobba chi non può soffire, e arriccia il naso se riceve un torto, e giura di farla pagare a chi quel torto giustamente o ingiustamente l'ha commesso.
Non t'interesserebbe nemmeno. Tu hai lottato per vivere, hai cercato un tetto in cui passare la notte, hai sofferto il freddo, la fame. Non concepiresti nemmeno un certo stile di vita. Ti basterebbe poter dormire ancora, ti basterebbe poter avere un sorso d'acqua, o stringere la mano di chi ti era caro, o semplicemente poter formulare ancora un pensiero. Solo un pensiero, uno ancora. Il tempo non torna sui suoi passi. Tu sei morto, e niente ti riporterà fra noi.
Fra noi che ci riteniamo animali sociali. Fra noi che proseguiamo la nostra vita speciale, perché, ne siamo certi, tutti gli io sono sono speciali. Fra noi che sbadigliamo al dolce risveglio, intingiamo i biscotti nel thè o nel latte, ci vestiamo, ci pettiniamo, usciamo di casa per andare al lavoro, idioti inconsapevoli, bravi dementi pieni del nostro sapere inutile.
No, non è proprio così. C'è qualcuno che il mondo lo salva, non resta a guardare. C'è qualcuno che rischia la vita, che decide di partire, di agire, di cambiare lo cose. Magari è il guidatore del camion dell'ONU, che porta viveri e medicine, centrato da un carro armato israeliano.
E' morto con onore, si dirà. No, è morto con orrore, l'orrore che aveva negli occhi per un brevissimo istante, per salvare il mondo come una goccia nel mare. Una goccia che insieme alle altre versate dagli innocenti sta dilagando in tutte le case occidentali, sporcando i bei tappeti ricordo di viaggi, avvolgendo le pellicce, arruffando i capelli appena acconciati, beffandosi dei poveri benpensanti ignari prigionieri del proprio solipsismo.
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